DARE CREDITO ALLE DONNE – UNA RICERCA STORICA CHE EVIDENZIA IL RUOLO DELLA DONNA NEI CdA

Secondo il rapporto Unlocking female employment potential in Europe, le donne al vertice di un’azienda migliorano le prestazioni finanziarie ma è altresì vero che il gap tra uomini e donne nel mondo del lavoro è ancora ampio. Il rapporto Unlocking female employment potential in Europe dimostra come la presenza di donna nel livello alto del management di un’azienda o nel board consenta il profitto della società tra gli 8 e i 13 punti base, in primis nel settore dei servizi, high tech e in quelli fortemente specializzati. Le donne che occupano posizioni di senior management sono più ricettive e sensibili sui temi delle opportunità di crescita dei propri collaboratori a tutti i livelli dell’organizzazione, motivandoli ad esprimere il proprio potenziale. Le quote rosa nei Board rappresentano dunque un passo fondamentale per il completo raggiungimento di una cultura aziendale aperta e innovativa, capace di generare nel tempo benefici a cascata a tutti i livelli organizzativi.

In Italia, la presenza femminile nei Consigli d’Amministrazione delle società quotate è regolata dalla legge n.120/2011 Golfo-Mosca, la cosiddetta “legge sulle quota rosa”, che ha come obbiettivo rimuovere gli ostacoli che impediscono l’accesso alle donne a ruoli di comando. Legge per la quale, ormai in scadenza, è stata da me depositata la proposta di rinnovo appena eletta. Proposta e depositata, la mia legge è stata discussa, approvata e portata avanti in Senato e alla Camera giungendo poi a recepire la soluzione da me avanzata in emendamenti approvati nell’ottica legislativa trasversale di quasi tutti i partiti. L’esito è noto: il rinnovo c’è stato e con successo dopo una mia personale attività di persuasione  e convincimento nel biennio dopo la mia elezione. Altre proposte in parallelo e nello stesso spirito ho depositato e sostenuto ritenendo che questo consentirà una maggiore crescita meritocratica nei CdA. Un parametro importante specie per le società quotate in Borsa, oggetto d’interesse dei grandi investitori che valutano fortemente strategica la presenza di una donna top manager nella gestione economico-finanziaria di un’impresa.

Interessante la ricerca storiografica svolta dal CENTRO STUDI RENATO BORDONE SUI LOMBARDI, SUL CREDITO E SULLA BANCA a cura di Giovanna Petti Balbi e Paola Guglielmotti in un convegno internazionale di studi del 2010, che affronta proprio la presenza delle donne nell’economia tra medioevo ed età moderna. Dove alla donna già in antico viene attribuito il “Credito come fiducia”: le provate capacità femminili in ambito economico inducono taluni uomini non sempre lontani da casa ad accordare credito e fiducia alle donne della famiglia, cioè mogli, figlie, sorelle che si fanno carico della gestione del patrimonio affidato loro in qualità di procuratori, con delega ad attuare scelte in autonomia. A differenza di quanto da altri sostenuto, questi comportamenti sono diffusi non solo nel mondo artigianale in cui la moglie è tradizionale compagna di lavoro del marito, ma anche tra l’aristocrazia di antica ascendenza nobiliare o di più recente affermazione mercantile. Un esempio, fu eodora Fieschi, moglie del conte palatino Carlo – un personaggio di spicco tra i fautori di re Roberto d’Angiò diventato signore di Genova – la quale agisce spesso come procuratrice del marito passato al servizio degli Angioini e spesso assente dalla città. Nel 1321 dal suo palazzo di residenza in Genova gestisce il ricco patrimonio fondiario del marito, situato nelle podestarie di Chiavari e di Rapallo, tramite suoi procuratori incaricati di locare terreni e di esigere affitti; ancora nel 1340 con la stessa qualifica chiede la restituzione di un credito del marito e continua a occuparsi della conduzione delle terre nella podestaria di Rapallo.

Numerosi sono gli uomini genovesi, veneziani, pugliesi, siciliani che nelle loro disposizioni testamentarie designano figure femminili, soprattutto mogli, come usufruttuarie e amministratici dei beni, tutrici dei figli minori, talora anche eredi da sole o con altri parenti. In questo modo la donna, che tramite i beni maritali gestiti a vario titolo o quelli posseduti come beni dotali o come doni nuziali può facilmente attivare con una propria disponibilità patrimoniale un’attività personale, diventa «donna et domina», «epitropissa» in ambito pugliese o addirittura «salvatrix bonorum meorum» per un marito genovese.

E anche alla presenza e all’agire di donne in qualità di tutrici e di esecutrici testamentarie si dovrebbe dedicare maggiore attenzione per evidenziarne capacità, preparazione e credito non solo all’interno della famiglia, ma fuori, nel contesto sociale, perché questi incarichi fiduciari contemplano una gestione e una capacità organizzativa del patrimonio piuttosto complesse anche a causa della distribuzione dei numerosi lasciati in favore di parenti, enti religiosi, poveri, istituzioni, in situazioni che inducono talune donne a ricorrere ad atti di procura proprio per l’incapacità di gestire il tutto in prima persona.

Uno studio che affonda nella storia e che continua nella modernità, e che andrebbe divulgato per una maggiore crescita delle imprese, una migliore forma di politica in una società che dovrà sempre più competitiva per crescere in sinergia con l’innovazione e forme di intelligenza artificiale che accompagneranno il credito verso le donne.

Cristina Rossello

Dare credito alle donne Presenze femminili nell’economia tra medioevo ed età moderna

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