IL QUADRO CHE VISSE DUE VOLTE

Hitchcock, Visconti, Ford, Dreyer, Saura, Scott, Minnelli, Kubrick. Sono registi, maestri assoluti. La loro estetica è riconoscibile e magica. È un incanto perenne. Fotogrammi che si assestano nella memoria di chi li ha visti, e lì rimangono.
 Perché questi autori si sono affidati ad altri maestri, quelli della pittura, hanno riconosciuto la prevalenza di quell’arte nobile e hanno portato, nei loro film, quel grande valore aggiunto.

Hitchcock ha esplorato Hopper: l’inquietante casa di Psyco. Visconti ha attinto da Hayez: il famoso bacio in Senso. Il gladiatore di Ridley Scott è semplicemente un dipinto di Gérôme. Kubrick ha “ricostruito” gli inglesi del Settecento, come Hogarth, in Barry Lyndon e mostrato opere contemporanee (Brancusi) in Arancia meccanica. John Ford ha “rifatto” Remington, gran pittore del West in Sentieri selvaggi. Saura anima Goya (La fucilazione sulla montagna) nel suo Goya. I personaggi di Dreyer in Dies irae escono letteralmente dai quadri di Rembrandt.

Artisti come quelli citati, applicati ai film: dunque “scenografi” strepitosi, irripetibili, non più rintracciabili. Non sarebbero bastati… gli Oscar.

Il quadro che visse due volte offre la chiave di lettura di questa straordinaria reciprocità fra la grande pittura e il grande cinema.

Rossella Farinotti, laurea in Scienze dei Beni Culturali all’Università degli Studi di Milano (indirizzo cinema) e diploma all’Accademia di Brera (arte contemporanea).Dai 21 anni lavora con il cinema e nell’arte. Dopo aver iniziato come assistente gallerista, lavora per il critico d’arte Marco Meneguzzo, e dopo 2 anni all’Assessorato alla cultura di Milano, oggi è critica e curatrice indipendente. Co-autrice del dizionario del Cinema il Farinotti che porta avanti con il padre.

Collabora al sito Mymovies e alla rivista Arte. Ha aperto un blog di arte contemporanea, cinema e cultura in generale dal titolo Labrouge.

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